Partendo da una fascinazione per l'espressione “mangiare con gli occhi”, l’autrice si interroga sul fare del corpo femminile osservato, indagando le dinamiche e le politiche dello sguardo attraverso la relazione tra spettatore e performer, il consumo dell'immagine e la sessualizzazione dei corpi.

​

La partitura coreografica è costruita a partire da un’estetica quotidiana, che usa la pulizia del gesto - raddoppiato - e la sua composizione, a ricalcare una millimetrica mancanza di casualità. Linee e movimenti in sequenza, ogni reiterazione è un affondo che vuole informarci sul peso del nostro guardare. Le tensioni, generate dal punto di vista costretto e dal ribaltamento prospettico orizzontale, trovano un esito erotico: forme morbide e pesi al pavimento, le curve delle due danzatrici si stagliano come dune in un fluire di posture. Immagini sfacciatamente frontali ma celate, ci costringono ad una forzata prospettiva parziale. Il nastro che delimita il tappeto può riportarci alla mente la regola di un museo, “guardare ma non toccare”.

​

“Come a letto, come al mare.

Faccio il meno possibile. vorrei non fare nulla, ma è impossibile.

Allora fare meno, non fare quasi niente, fare sottovoce, fare sottopelle, fare con la f minuscola. Non fare tanto per fare. Fare orizzontale. Farsi piccoli. Shh, fare piano.”